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Wanda Marra

Giornalista de ‘Il Fatto Quotidiano’

Volontaria per il “Progetto carcere” a Campobasso

«Come riparare?»: insieme

Nevica a Campobasso. È il 12 gennaio, il giorno in cui iniziamo il nostro laboratorio di giustizia riparativa “Ago e filo”.

Il carcere, costruito a metà del 1800, ha una struttura circolare, con una torretta che domina dall’alto: l’illusione panoptica di controllare tutto e di dare questa percezione ai detenuti. Che la percezione del reale è cruciale nel lavoro che andiamo a fare si capisce da subito.

Ci accolgono in 10, uomini, di tutte le nazionalità, tra i 20 e i 55 anni. Altri si aggiungeranno in corso d’opera, già nel prossimo appuntamento. La stanza è sistemata con un tavolo e tre sedie dietro. Di fronte, due o tre file di altre sedie.

L’immagine è quella di oratori e pubblico: la divisione non è funzionale, non rispecchia lo spirito della giustizia riparativa. Cambiamo insieme a loro la disposizione, ci mettiamo in cerchio. Ci guardano curiosi: è di certo uno stimolo, la curiosità. Ecco, la seconda chiave: energia che circola, condivisione di vissuti, di sensazioni, prima ancora che di esperienze.

Si ragiona di giustizia. C’è molta rabbia, molta recriminazione, il livello dei discorsi sembra quasi politico. Ciascuno racconta la propria vicenda, con una lente dove la vittima dei reati tende a sparire, la giustizia è piuttosto ingiustizia. Tutti insistono sul pregiudizio, lo stereotipo, lo stigma: le vittime sono loro. In fondo, anche questo uno stereotipo.

Poi, a un certo punto, scegliendo tra le foto che raffigurano diverse idee di giustizia, uno dei partecipanti prende un’immagine di due mani che si stringono. Idea diversa da quella tradizionale: la dea, bendata, con la bilancia, e con la spada.

Perché ha scelto quella? Con l’idea di riconoscere l’altro, al punto di dargli la mano, vuole forse evocare la possibilità di accettare quello che è accaduto, in tutte le sue implicazioni? La falsariga del ragionamento è quella. Nel gruppo sembra arrivare un’emozione diversa.

Ecco, la terza chiave: le emozioni, spesso in conflitto tra loro. Comincia a emergere la coscienza che c’è dell’altro oltre alle istituzioni, al carcere, ai magistrati, al martelletto con cui si viene condannati. Ci sono altre persone, che hanno subito un danno. E allora, qualcuno, spontaneamente, tira fuori la domanda: «Come riparare?».

Il tempo è finito, ma il percorso è iniziato. «Insomma, ce lo dite dove volete arrivare?», ci chiedono. La curiosità è aumentata, rispetto all’inizio.

La risposta la costruiremo insieme.

 

FdM Progetto Carcere

Wanda Marra

Giornalista de ‘Il Fatto Quotidiano’

Volontaria per il “Progetto carcere” a Campobasso